Sottosegretario Baretta può il risparmio privato degli italiani rappresentare una concreta risorsa a sostegno dell'economia reale?
Quando nel 2016, con l'allora ministro Padoan, decidemmo di inserire nella legge di bilancio 2017 le norme che introducevano nel nostro Paese i Pir (Piani individuali di risparmio), l'obiettivo era quello di favorire l'incontro tra esigenze diverse. Da un lato, quelle dei piccoli risparmiatori privati, che in uno scenario caratterizzato da scarsi rendimenti, da un ridotto appeal dei titoli di stato e da un'eccessiva volatilità dei mercati potevano trovare in questi strumenti una valida alternativa di investimento. Dall'altro, quelle delle piccole e medie imprese italiane, fulcro del nostro tessuto produttivo, ma svantaggiate da un sistema del credito che tende a premiare aziende con fatturati e dimensioni più grandi.
Il risparmio privato italiano ammonta ad oltre 4 mila miliardi di euro. Se solo una parte di questi fossero indirizzati verso l'economia reale – che ha rendimenti di gran lunga superiori a quelli dei tradizionali Bot e Cct –, si potrebbero raggiungere due distinti obiettivi: consentire ai risparmiatori di salvaguardare il potere d'acquisto dei propri investimenti, con rendimenti al di sopra della soglia di inflazione, e favorire la crescita e lo sviluppo di progetti di innovazione ed espansione dimensionale delle Pmi.
Gli strumenti alternativi al sistema bancario possono rappresentare una delle soluzioni al problema dell'accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese?
Come detto sopra, la diversificazione del credito e, quindi, degli investimenti è un tema cardine per la nostra economia. I Pir e tutti gli strumenti che favoriscono l'incontro tra economia reale e forme di finanziamento alternativo – come private equity, venture capital, investitori istituzionali, ecc. – devono essere favoriti attraverso interventi di leva fiscale che rendano conveniente, anche per gli investitori, questo tipo di operazioni. Sta allo Stato favorirli, non solo per sostenere il sistema imprenditoriale piccolo e medio del nostro Paese, ma anche per evitare casi come quelli degli azionisti e degli obbligazionisti delle banche entrate in crisi negli scorsi anni, che hanno visto sfumare i risparmi di una vita.
Come si possono favorire forme innovative di investimento, dal private equity al venture capital, nel capitale di aziende in crescita per sostenerne lo sviluppo in ambito nazionale ed internazionale?
Lo snodo è sempre la fiscalità, ma il successo di questi strumenti è testimoniato già dai numeri e deve essere sostenuto dai rendimenti e dall'affidabilità. Se un ruolo centrale lo gioca lo Stato, l'altra parte è affidata al mercato. Ad oggi si stima che in Italia private equity, private debt e venture capital hanno raccolto, tra il 2014 e il 2018, complessivamente sul mercato 16,7 miliardi di euro (dati Aifi). Attraverso queste attività sono stati investiti con 2.100 operazioni circa 33,8 miliardi di euro. Di questi 0,7 miliardi sono attribuibili alle attività di venture capital, con 655 investimenti.
Start-up e aziende innovative sono sempre più sinonimo di eccellenza, quali sono gli strumenti che possono favorirne la crescita in modo più concreto?
La definizione di start up innovativa è stata introdotta in Italia nel 2012, con il cosiddetto decreto Crescita 2.0. Da allora, sono state diverse le misure fiscali che hanno favorito gli investimenti in "società di capitali o cooperativa, che hanno come obiettivo finale quello di sviluppare, produrre e commercializzare prodotti o servizi tecnologici". A oggi, a fronte di determinati requisiti, le start up innovative godono di agevolazioni fiscali come la detrazione Irpef e la deduzione Ires al 40% (con un limite di un milione di euro l'anno per le persone fisiche e un milione e ottocentomila per quelle giuridiche) e, nel caso di acquisizione dell'intero capitale sociale, l'aliquota di deduzione Ires è del 50% a condizione di mantenerlo per almeno 3 anni.
Esistono, inoltre, interventi di finanziamento gestiti dal Ministero dello sviluppo economico, da Invitalia e dalle regioni attraverso il bilancio europeo, nonché il Fondo Nazionale Innovazione che è stato istituito lo scorso anno e che destinerà a tale scopo oltre un miliardo di euro di investimenti.